La terapia occupazionale

Quanto è importante il lavoro nella vita delle persone? Al di là della fondamentale indipendenza economica, base indispensabile per condurre una vita serena e costruttiva, il lavoro dona ad ogni persona orgoglio e sicurezza di sé, dignità ed entusiasmo. Se questo è vero per i normodotati, lo è ancor di più per quelle persone che, per ragioni fisiche o psichiche, non godono di condizioni identiche a quelle delle persone con un corpo ed una mente in perfetta forma.
Fortunatamente, a coloro che hanno sofferto di ictus o di altre difficoltà legate sia alla mente che al corpo viene in aiuto la terapia occupazionale; ma di cosa si tratta esattamente?

Che cos’è la terapia occupazionale?

La terapia occupazionale è conosciuta con molti nomi fra cui “ergoterapia” ed anche con un termine inglese: “occupational therapy”. Come scritto nel preambolo è una disciplina di riabilitazione che affronta le disabilità con l’obiettivo di fornire ad ogni persona quelle competenze necessarie per affrontare con successo e serenità l’attività lavorativa. Ma non è solo questo: la terapia occupazionale in senso ampio va anche ad analizzare tutte le potenziali barriere ambientali (ad esempio quelle architettoniche) che possono impedire alle persone svantaggiate di utilizzare al meglio il posto di lavoro. Per fare un classico esempio: ricordate i palazzi italiani fino agli anni ’80? Gli uffici pubblici, le aziende, le università, le biblioteche? Quante di esse avevano una rampa per permettere l’accesso ai portatori di handicap? Quante avevano ascensori al loro interno? Basta un “semplice” ostacolo come questo per impedire ad una persona paraplegica di inserirsi nella società e di relazionarsi con la cultura, l’educazione, la pubblica amministrazione, il mondo del lavoro.
Fortunatamente una accresciuta sensibilità su questi temi ha, nel tempo, creato delle leggi ad hoc volte ad eliminare le barriere architettoniche di ogni tipo; ma ciò non è evidentemente sufficiente per fornire quell’assistenza necessaria ad ogni persona colpita da precipue difficoltà di carattere psico-fisico.
Era quindi indispensabile che si sviluppasse una figura professionale nota col nome di terapista occupazionale. Si tratta di una donna od un uomo che ha seguito degli studi approfonditi sull’argomento. Il terapista saprà approcciare ogni tipo di soggetto, sia esso colpito da infermità fisiche, handicap, problemi mentali, disabilità di tipo provvisorio o, purtroppo, permanente.
Gli strumenti del terapista sono le attività, parola che include numerosissimi tipi di esercizi, tanto vari quanto sono varie le disabilità che andrà ad affrontare.
Ovviamente il terapista occupazionale non opera da solo (sebbene ne sia in grado) ma preferisce agire in sinergia con altri specialisti del recupero quali i logopedisti, gli infermieri, i medici e gli psicologi, gli esperti di neuropsicomotricità. Dalle loro discussioni, dalle loro analisi, dai loro confronti, nascono delle idee nuove, adatte non solo ad intere categorie di pazienti ma modulabili sulle esigenze del singolo paziente, in base alla sua età, condizione psicofisica, carattere, tipi di obiettivi prefissati.

Storia della terapia occupazionale

La terapia occupazionale trae le sue origini nel lontano XVIII secolo grazie all’opera di Philippe Pinel, un celebre psichiatra francese. Pinel fu il primo ad analizzare e curare i malati mentali evitando l’errore di accomunarli ad altri “emarginati sociali” (secondo i canoni dell’epoca) quali alcolisti, vagabondi, prostitute, mendicanti. Non solo Pinel effettuò un’analisi fisiologica della malattia, ma arrivò a essere il primo a proporre di insegnare alle persone con problemi mentali delle attività di carattere lavorativo che permettessero loro di apprendere a concentrarsi su un singolo compito, con l’obiettivo di fornire ai malati una maggiore autonomia e crescita psicofisica.
Sebbene alcune “cure” proposte da Pinel (docce ghiacciate, contenzione, diete sbilanciate, isolamento) sarebbero molto discutibili per gli standard moderni, ciò che rende attuale la sua opera è proprio l’attenzione verso l’ergoterapia. Fu nel manicomio di Bicêtre che Pinel provò per la prima volta sul campo le sue teorie ed i successi ottenuti lo fecero proseguire nel suo lavoro di recupero dei malati mentali tramite la terapia occupazionale. Il regime Napoleonico stimò molto l’opera di questo medico (che si rifaceva idealmente ai principi di uguaglianza della Rivoluzione Francese) ma la Restaurazione guardò il lavoro del terapista parigino con sospetto e tutti gli onori elargiti fino a quel momento vennero ritirati. Fortunatamente l’opera di Pinel non morì con lui, né venne cancellata dallo spirito reazionario del Congresso di Vienna: le sue idee anzi riuscirono a varcare l’oceano e negli ultimi anni della Prima Guerra Mondiale fu proprio negli Stati Uniti che nacque la terapia occupazionale moderna. Come capita spesso la guerra influenza le scoperte dell’uomo, non solo quelle della scienza meccanica ma sovente anche quelle della medicina e le attività ad essa correlate. La Prima Guerra Mondiale fu la prima combattuta con degli armamenti moderni (fra cui le mitragliatrici pesanti e gli aerei) e a decine di migliaia i soldati tornarono dai campi di battaglia con gravi menomazioni fisiche (oltre che mentali). Era fondamentale che questi giovani, che avevano sacrificato la loro integrità perdendo un braccio od una gamba nello spaventoso conflitto, venissero assistiti nel reinserimento nella società e che mantenessero quella dignità che una semplice pensione di invalidità avrebbe inevitabilmente compromesso.
Insieme alle prime terapie occupazionali nacquero anche le prime associazioni che supportavano questo nuovo fenomeno e, successivamente, delle vere e proprie scuole di terapia occupazionale dove si formarono i futuri insegnanti di questa importantissima branca della fisioterapia.
Furono necessari molti decenni, ma finalmente negli anni ’60 del Novecento la terapia occupazionale attraversò l’oceano per sbarcare in Italia. Nel 1977 nacque l’AITO (Associazione Italiana Terapisti Occupazionali) grazie al cui impegno la figura del terapista occupazionale divenne sempre più riconosciuta in ambito medico e sociale.
Il primo terapista di riabilitazione era una figura che univa alle classiche mansioni di fisioterapista anche quelle di terapista del linguaggio e terapista occupazionale. Nel corso degli studi ci si poteva specializzare in una di queste branche del sapere ma solo nel 2001 vennero organizzati i primi precipui corsi di laurea in terapia occupazionale.

I numerosi contesti ed ambiti di lavoro del terapista occupazionale

Sorpende quanto siano numerosi i contesti in cui il terapista occupazionale pu  andare ad operare. Non solo negli ospedali quindi, ma anche nei normali servizi di assistenza (per i casi sub acuti) e in ambienti comunitari ed ambulatori.
Per quanto riguarda gli ambiti di lavoro, ne presentiamo alcuni, ma non si tratta ovviamente di una lista esaustiva:
Ortopedia: il terapista focalizzerà la sua attività di recupero in caso di fratture e lesioni tendinee e all’apparato nervoso del paziente. Inoltre cercherà di recuperare anche situazioni gravissime provocate da malattie reumatiche e amputazioni. Inutile dire che questa branca della terapia occupazionale è stata la prima in assoluto a svilupparsi in seguito ai due conflitti mondiali e alle tremende ferite che mutilarono decine di migliaia di soldati del mondo intero.
Geriatria: il terapeuta andrà a recuperare il più possibile l’autonomia nelle persone colpite da malattie legate all’età avanzata quali il morbo di Parkinson e quello di Alzheimer. Ma non solo, particolare attenzione sarà riservata all’educazione del personale deputato all’assistenza all’anziano (spesso i parenti ma a volte anche dei o delle badanti). Va ricordato che spesso sono proprio i parenti del malato ad essere i migliori terapisti, a saperlo seguire con attenzione e amore. L’esperienza ha dimostrato come i parenti (figli o nipoti che siano) sanno seguire con enorme cura le istruzioni fornite dal terapista occupazionale e riescono, con la loro presenza continua ed instancabile, ad infondere fiducia ed ottimismo negli anziani colpiti da queste crudeli patologie invalidanti.
Psichiatria: anche le persone che soffrono di disturbi della mente come autismo, disturbo bipolare, schizofrenia hanno diritto a ricevere un’educazione che li porti, col tempo, ad entrare nel mondo del lavoro per acquisire autonomia (se non piena indipendenza). Il terapista occupazionale dovrà in questo caso esercitare la massima attenzione nell’approccio al paziente in quanto le sue particolari caratteristiche mentali potrebbero rendere difficili i primi incontri e l’esecuzione degli esercizi iniziali. In questo caso la parola d’ordine sarà “pazienza”;  solo con essa sarà infatti possibile conquistare la fiducia di un ragazzo autistico o riuscire a relazionarsi efficacemente con una persona  bipolare.
Pediatria: anche in questo caso, come in quello della geriatria, il terapista non si interfaccerà solo col malato ma anche con i familiari, che saranno coinvolti in tutti gli esercizi occupazionali. Fra essi ricordiamo i semplici giochi ma anche le attività di abilità sociale e quelle di istruzione vera e propria. Inutile sottolineare quanto il bambino sia un paziente delicatissimo, a cui è doveroso prestare la massima attenzione non solo dal punto di vista fisico ma anche psicologico. Nel caso in cui il giovane paziente sia anche affetto da disturbi quali l’autismo o la bipolarità, l’attenzione dovrà essere più che raddoppiata, così come la pazienza ed il sostegno ai familiari. Costoro, già prostrati per le normali difficoltà legate alla semplice crescita del figlio, andranno sostenuti in tutto il lavoro aggiuntivo legato al recupero occupazionale del bambino. Mai come in questo caso la figura del terapista occupazionale andrà a legarsi a quella dello psicologo che dovrebbe (per quanto possibile) agire in sinergia col terapista stesso per fornire alle famiglia un ausilio sia “fisico” sia psicologico, ovviamente da proiettarsi nel futuro per almeno alcuni mesi, se non per alcuni anni.

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